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Sulemani!

EDWARD SNOWDEN, WHISTLE-BLOWER

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Ecco l’editoriale con cui il New York Times si è schierato a difesa dell’ex collaboratore della National Sicurity Agency NSA. Traduzione in italiano di Federico Mello e Andrea Casadio.

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ImageSette mesi fa il mondo per la prima volta venne a sapere che la National Security Agency aveva ficcato il naso dentro la vita di centinaia di milioni di persone negli Stati Uniti e nel mondo, raccogliendo informazioni sulle loro telefonate, le loro mail, i loro amici e i loro contatti, su cosa facevano giorno e notte. Il pubblico ha potuto così sapere in dettaglio come l’agenzia ha oltrepassato il suo mandato e abusato della sua autorità, creando indignazione sia tra la gente comune che nelle stanze del congresso, che ora potrebbe finalmente porre un limite a queste pratiche.

Questa rivelazioni hanno anche spinto due giudici federali ad accusare la NSA di avere violato la costituzione (anche se un terzo giudice, sfortunatamente, ha ritenuto che questa rete di sorveglianza fosse legale). Un gruppo di esperti nominati dal presidente Obama ha condannato con forza l’invasione della privacy da parte dell’agenzia e ha chiesto una decisa riorganizzazione delle sue operazioni.

Tutto ciò è stato possibile grazie alle informazioni fornite ai giornalisti da Edward Snowden, l’ex collaboratore della NSA che ha sottratto un enorme tesoro di documenti riservati dopo aver maturato una delusione profonda a causa dei metodi voraci dell’agenzia. Mr. Snowden adesso vive in Russia, in fuga dalla accuse Usa di spionaggio e furto, e sta correndo il rischio di passare il resto della sua vita guardandosi le spalle.

Considerando l’enorme valore delle informazioni che ha rivelato, e gli abusi che ha svelato, Mr. Snowden non merita di passare il resto dei suoi giorni tra fuga, esilio e paura. Avrà anche commesso un crimine, ma ha reso al suo Paese un grande servizio. É arrivato il tempo che gli Stati Uniti offrano a Mr. Snowden un patteggiamento o qualche forma di clemenza che gli possa permettere di tornare a casa, di ricevere una pena sostanzialmente ridotta alla luce del suo ruolo di informatore, e di poter avere la speranza di mettere la sua vita al servizio della battaglia a favore di una maggiore privacy e di una sorveglianza più attenta della comunità di intelligence, ora fuori controllo.

Mr. Snowden è accusato di aver violato due volte l’ Espionage Act per avere reso pubbliche informazioni riservate e di avere sottratto atti di proprietà del governo. Queste tre accuse portano ognuna a una pena di 10 anni di prigione e, quando il caso verrà presentato al gran jury, il governo è praticamente certo di poter aggiungere altre accuse che porteranno all’ergastolo, sentenza che comprensibilmente il signor Snowden sta cercando di evitare.

Il presidente Obama ha detto ad agosto che Mr. Snowden dovrebbe tornare negli Usa per affrontare il processo e suggerisce che se il signor Snowden intendeva evitare le accuse avrebbe potuto semplicemente riferire ai suoi superiori gli abusi comportandosi, in altre parole, da gola profonda.

“Se il problema era di far arrivare queste informazioni al pubblico, io stesso, ben prima del caso Snowden, ho firmato una disposizione esecutiva che fornisce per la prima volta protezione dall’intelligence a chiunque volesse fare rivelazioni (“whiste-blower”) ha detto Mr. Obama in una conferenza stampa. “Quindi, chi aveva problema di coscienza e intendeva mettere in discussione l’operato del governo, aveva altre strade a disposizione”.

In realtà, l’ordine esecutivo non si applica ai collaboratori esterni, ma solo ai dipendenti dell’agenzia, rendendo impossibile qualsiasi protezione per Mr. Snowden. Ancora più importante, il signor Snowden ha riferito pochi giorni fa al Washington Post di aver informato due superiori dell’agenzia, mostrando loro il volume dei dati raccolti dalla NSA e come questi non fecero nulla a riguardo (la NSA dice che non ci sono prove di ciò). Questo è avvenuto quasi sicuramente perché l’agenzia e i suoi capi non considerano questi programmi di raccolta di dati un abuso e non avrebbero mai agito in base alle preoccupazioni di mr. Snowden.

Col senno di poi, Mr. Snowden aveva tutte le ragioni di ritenere che l’unico modo per svelare come l’intelligence raccogliesse informazioni fosse di rivelarlo direttamente al pubblico e lasciare che il risultante furore popolare facesse quello che i suoi superiori si rifiutavano di fare. Al di là della raccolta massiccia di dati riguardanti il traffico internet o telefonico, fermatevi a considerare solo alcune delle violazioni che egli ha rivelato, o le azioni legali che ha provocato:

  • La Nsa ha violato violato leggi federali sulla privacy, o è andata al di là della sua autorità almeno migliaia di volte all’anno, secondo lo stesso ispettore interno all’agenzia.
  • L’agenzia ha violato i siti dei maggiori centri di raccolta di dati del pianeta, spiando centinaia gli account di milioni di utenti e facendo infuriare le compagnie Internet proprietarie di quei centri.
  • La Nsa ha sistematicamente minato i sistemi di crittografia dei dati su Internet, rendendo di fatto impossibile sapere se dati sensibili bancari o sanitari siano davvero privati oppure no, e danneggiando attività economiche che si basano su questo vincolo di fiducia.
  • Le sue rivelazioni hanno permesso di fare sapere a tutti che James Clapper Jr., direttore della agenzia nazionale di spionaggio, ha mentito al Congresso quando in marzo sotto giuramento ha testimoniato che la Nsa non stava raccogliendo dati su milioni di americani. (Se questa menzogna meriti d’essere punita non è stato ancora oggetto di discussione.)
  • La Corte Internazionale di Sorveglianza dell’Inteligence ha rimproverato la Nsa per avere ripetutamente fornito informazioni fuorvianti circa le sue attività di sorveglainza, secondo una sentenza resa pubblica a causa dei documenti forniti da Snowden.
  • Un giudice federale appena un mese fa ha sentenziato che il programma di raccolta di dati telefonici probabilmente viola il Quarto Emendamento della Costituzione. Ha definito il programma “quasi orwelliano” e ha detto che non c’era prova che esso avesse fermato sul nascere un qualsiasi atto di terrorismo imminente.

La petulante brigata dei suoi critici sostiene che Mr. Snowden ha inferto danni profondi alle operazioni di intelligence degli Stati Uniti, ma nessuno ha presentato la benché minima prova che le sue rivelazioni abbiano davvero danneggiato la sicurezza della nazione. Molti di questi massivi programmi di raccolta dati che Mr. Snowden ha svelato al pubblico funzionerebbero altrettanto bene anche se fossero ridotti nello scopo e riportati ad una più stretta sorveglianza, come ha raccomandato il gruppo di esperti presidenziale.

Quando qualcuno rivela che ufficiali governativi hanno ripetutamente e deliberatamente violato la legge, quel qualcuno non dovrebbero rischiare una condanna all’ergastolo per mano del governo stesso. Questa è la ragione per cui Rick Ledgett, che è a capo della task force della Nsa che s’occupa del caso Snowden, ha di recente affermato a Cbs News che potrebbe prendere in considerazione una amnistia nei confronti di Mr. Snowden nel caso egli si astenesse dal fare rivelazioni ulteriori.

E è questa la ragione per cui il Presidente Obama dovrebbe dire ai suoi assistenti che dovrebbe trovare il modo di porre fine alla continua denigrazione di Mr. Snowden e fornirgli invece un incentivo per permettergli di tornare in patria.

Written by federicomello

January 2, 2014 at 12:16 pm

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CLAMOROSO DIETRO LE QUINTE – I segreti di Tze-Tze, l’aggregatore di Casaleggio. Ecco come funziona:

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tzeC’è qualcosa del nostro corpo che evidentemente non riusciamo a controllare. Sono impulsi immediati, irrefrenabili; stimoli che in qualche modo hanno a che fare con la bulimia: non ne hai voglia, ma non riesci a trattenerti quando sotto il naso hai quella vaschetta di patatine fritte; vorresti mangiare meglio, ma ti ingolfi di arachidi salate mentre aspetti la cena o durante all’aperitivo.

Online, a passare il tempo aggiornando e leggendo pagine Facebook e profili Twitter succede qualcosa di simile. Sei lì a farti i fatti tuoi – a cercare di chiuderlo sto Facebook: è la decima volta che fai sto giro, cazzo! ed è sempre uguale – e invece no. Ti arriva l’aggiornamento di Tze-Tze.

Un tweet tipo:

“DENUNCIA SHOCK DI MILENA GABANELLI – Guardate cos’ha scoperto. Fate girare questa vergogna”

O anche:

“+++ SAVIANO HA DEMOLITO BERLUSCONI +++ Guardate che ha fatto poco fa”.

Non manca naturalmente la variante scollacciata:

“ASIA ARGENTO e i fluidi corporei degli uomini. Scandalosa notizia. Guardate cos’ha avuto il coraggio di fare”

Ormai lo sapete meglio di me: la maggior parte delle volte, i link che accompagnano questi aggiornamenti rimandano a fatti minuscoli, minori, quasi sempre virtuali. Si tratta di qualche tweet (“ad Asia Argento non piacciono più gli uomini”, o Saviano che critica Berlusconi) di bagatelle, punsillacchere, non-notizie, cazzate, noccioline di informazioni con caratteristiche nutritive di molto vicine alle zero.

Tze-Tze, forse lo sapete, è “l’aggregatore di notizie” realizzato da Grillo e Casaleggio. Ora ha colonizzato anche il sito del capo comico e ormai una intera “colonna destra” del blog più visto d’Italia si basa su questa informazione-spazzatura. Lo schema è sempre quello: la redazione di Tze Tze o siti simili (anche il recente “la fucina” è registrato a nome di Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto) scrive due righe su una notizia che non è tale ma lo lancia in modo clamoroso. Il meccanismo bulimico di cui sopra non ci risparmia mai e noi poveri navigatori non possiamo esimerci dal cliccarci sopra. Puntualmente, quando apriamo il link, in mente viene solo una constatazione: “Che stronzata colossale!”: di “clamoroso” in quanto sbandierato nei tweet c’era soltanto l’inconsistenza.

Da sottolineare, inoltre, che lo strumento serve anche a fare una propaganda sfacciata al Movimento Cinque Stelle e ad aumentare gli spazi pubblicitari onnipresenti nei post – alcuni, come gli impianti dentali low cost, che sanno di truffa lontano un miglio.

Grillo e Casaleggio hanno costruito parte del loro successo sulla critica all’informazione tradizionale. Per i due guru invecchiati male, i giornali sono morti, la televisione pure, i giornalisti tutti venduti, Il Fatto Quotidiano un “giornale di partito del Pd” e via sparando ad alzo zero. Eppure quale dovrebbe essere l’alternativa a cronisti, caporedattori, direttore responsabili, correttori di bozze, verifiche, querele; insomma tutto il costoso e faticoso mondo dell’informazione tradizionale?

Il giornalismo è a un bivio, certo, e in Italia molte volte ha dato pessima prova di sé. Ma l’alternativa non può essere l’informazione-marketing che non trova notizie, non approfondisce, punta unicamente al sensazionalismo per fare “mi piace” e porta acqua al proprio mulino. L’informazione è altro. Sarà meno clamoroso, meno sensazionale, meno guarda qui →!!!!!. Eppure meriterebbe lo stesso di essere fatto girare!!!111!!1

PS: Mi scuso per il titolo alla Tze-Tze ma era necessario per spiegare l’argomento in questione.

Written by federicomello

November 6, 2013 at 3:13 pm

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Dove c’è Grillo non c’è politica

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grillo

Non accorgersene sarebbe colpevole. Leggere i voltafaccia di Grillo come frutto di cambiamenti dell’umore, stati passeggeri di rabbia, sarebbe un errore madornale. In Grillo c’è del metodo, ormai è chiaro, “il metodo Grillo”, non troppo diverso dal famigerato metodo Boffo.

In cosa consiste questo “metodo”? Semplice. Nel ridicolizzare chiunque osi muovergli delle critiche. Ultimo in ordine di tempo è arrivato Stefano Rodotà.

Ma prima di lui l’elenco dei ripudiati è lunghissima: Valentino Tavolazzi, Giovanni Favia, Federica Salsi, Marino Mastrangeli, il siciliano Venturino, decine di gruppi e realtà locali. Dei giornalisti non ne parliamo: Milena Gabanelli, lo stesso Report, Michele Santoro; persino Padellaro ad un certo punto diventò “residuato dell’Unità che ha sempre vissuto di contributi pubblici”.

Lo schema di Beppe è sempre uguale: alle critiche non si replica nel merito, ma si attacca la persona che le rende pubbliche. È un vecchio trucco della retorica classica, l’ “argomento ad hominem”, ovvero, come spiega l’enciclopedia Treccani “quello che attacca la persona che propone una certa tesi, anziché la tesi stessa”.

In questo Grillo è da sempre specializzato. Per lui non ci sono visioni diverse, ma solo “pezzi di merda”; non ci valutazioni differenti, ma “servi venduti”; non altri punti di vista, ma soltanto “pennivendoli di regime”.

Oggi Rodotà diventa d’un tratto “ottuagenario miracolato”. E l’accusa stride perché il giurista era diventato per il popolo grillino un simbolo unificante, un eroe, una specie di nuovo Che Guevara da mettere su bandiere e magliette; un feticcio, insomma, con tanto di slogan “Ro-do-tà, Ro-do-tà” a chiedere in piazza un mondo intero, un messia, non un buon presidente della Repubblica.
Chi scrive non è stupito che in seguito alle tiepidi critiche rivolte a Grillo dalle colonne del Corriere della Sera, Rodotà sia diventato nello spazio di un pomeriggio un nemico del “blogger-megafono”.

Quello che stupisce piuttosto è che politici di primo e secondo piano, al pari di milioni di elettori, abbiano potuto, anche solo per un attimo, credere a Grillo quando disse a Bersani: «Votate Rodotà e faremo un governo insieme». Come si poteva credere davvero che l’infangatore di Genova avrebbe messo da parte la sua violenza, la sua intransigenza, il suo estremismo, il suo opportunismo se il giurista fosse andato al Quirinale? Cari colleghi giornalisti abituati a non fare sconti, a dire le cose in faccia, a difendere la buona politica: come avete potuto sostenere sui giornali, in tv, sul web, questa tesi balorda?

Ad essere onesti bisogna ammettere che quell’offerta non era credibile, perché credibile non era chi la avanzava. La verità è che dove c’è Grillo non c’è politica, ci sono solo iperboli violente e volgari: il contenuto perfetto per diventare virale su Internet e per fatturare con il blog, non certo per cambiare il Paese.

Speriamo che, almeno, tutto questo ci serva di lezione per il futuro.

Written by federicomello

May 30, 2013 at 4:16 pm

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Buttare Napolitano con l’acqua sporca

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mail

 

Mi ha colpito molto un fatto. Ieri, in un noto centro sociale romano, l’Angelo Mai, ho visto all’ingresso questo cartello pro-Rodotà. È solo un cartello, certo, ma per me è stata l’ennesima conferma di come, per questa elezione al Quirinale, per la prima volta è nata una vera e propria campagna di opinione a favore di Rodotà, quasi una campagna elettorale. Le altre volte interessava meno chi veniva eletto, era una cosa del Parlamento alla quale, in un modo o nell’altro, ci si adeguava.

Qualcuno dirà: è la Rete che ha fatto la differenza, ora tutti possono dire la loro, c’è una iperdemocrazia digitale e tu non puoi farci niente, bellezza.
È sicuramente così, però l’elezione diretta del presidente della Repubblica, in realtà, ha un nome ben preciso: si chiama presidenzialismo. Non a caso negli Usa, in Francia, e in numerose altre democrazie c’è, e funziona magari anche meglio della nostra democrazia parlamentare.

Ma se noi non abbiamo il presidenzialismo, c’è un motivo ben preciso: la nostra Costituzione, “la più bella del mondo” come dice qualcuno, non lo prevede. Quando venne scritta, appena usciti dal fascismo, i padri costituenti pensarono che fosse meglio dividere i poteri in un sistema di pesi e contrappesi, di figure istituzionali e di governo, piuttosto che accentrarli in una sola persona. E non è un caso che anche in Germania – uscita anch’essa dalla guerra dopo una dittatura devastante – c’è un presidente della Repubblica con funzioni simili a quelle del nostro. E non è neanche un caso, infine, che la destra del “governo forte” sia sempre stata a favore del presidenzialismo – e dopo queste “quirinarie” è tornata a chiederlo a gran voce.

No, lo dico perché vedo sempre più spesso facili entusiasmi a portata di clic. Ma in generale, oltre ad innamorarsi delle cose, forse sarebbe meglio anche innamorarsi della complessità delle cose. Certo, per farlo, è richiesto un piccolo sforzo in più.

Written by federicomello

April 21, 2013 at 12:33 pm

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Con Marini questa volta ci arrendiamo davvero

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mariniPoi dici… Franco Marini.

C’è stata negli ultimi mesi, nel grande popolo della sinistra, o di quello che ne era rimasto, una sorta di guerra fredda familiare. A rompere il fronte, fino ad allora unito sotto le bandiere dell’antiberlusconismo, lui, Beppe Grillo.

In questo variegato mondo della sinistra, in ogni sua declinazione, tra amici reali e virtuali, tra parenti stretti o conoscenti incontrati per caso; tra ex compagni di scuola, colleghi di lavoro, amici del calcetto, vicini di corsia in piscina, il tema Cinque Stelle ha portato a litigi, incazzature, divisioni.

Chi difendeva Grillo diceva: «Il centrosinistra è uguale al Pdl. E io non lo voto più».

Chi attaccava Grillo rispondeva: «È vero, il centrosinistra ha dato pessima prova di sé. Ma Grillo non è la soluzione, la politica non è improvvisazione, l’incompetenza è un limite e non un valore».

Sui social network la guerra fredda è diventata guerra guerreggiata. Sempre quelli gli schieramenti. Pro-Grillo e contro-Grillo.

Un popolo, in gran parte di una sinistra delusa, faceva proprio il dileggio, il senso di rivalsa, la novità rappresentata dalla vittoria a 5Stelle.

Un altro popolo, anche questo di sinistra, faceva notare tutte le contraddizioni di Grillo: le decisioni calate dall’alto, le espulsioni dei dissidenti, la commistione tra un’azienda privata (la Casaleggio) e un partito politico; la violenza del linguaggio, lo svilimento delle istituzioni, i limiti di una democrazia che si diceva “diretta e digitale” ma che risultava chiusa e verticistica.

Discutere non è mai inutile. Questi scontri serrati, questa guerra verbale, sembrava pronta a dare i suoi frutti, a riconciliare le posizioni a metà del guado: una sinistra più attenta al cambiamento poteva trovare una sintesi con un 5Stelle finalmente più attento a questioni concrete e maggiormente libere dal giogo di Grillo.

Poi, nelle ultime ore, tutto è precipitato. La colpa va detto, è di Bersani. La sua idea, inseguita testardamente, di andare ad un accordo ad ogni costo con il Pdl di Berlusconi, magari per garantirsi un governicchio esposto alle intemperanze di un Brunetta qualsiasi, ha portato ad incoronare Franco Marini come candidato del Pd al Quirinale. Forse sarà eletto al Colle già alla prima votazione.

Marini, un uomo dalle qualità tutte da dimostrare, succo concentrato della prima Repubblica, è legato in maniera saldissima al gruppo di potere che ha guidato il paese negli ultimi quarantanni. Un dinosauro democristiano, possiamo dirlo, che sta ad Obama come il Libro Cuore sta a Fight Club.

La vittoria la incassa Grillo. Che ha organizzato online delle elezioni senza alcuna trasparenza, durante le quali solo quattro gatti hanno potuto dire la loro. E che però è riuscito, nonostante tutto, a portare avanti un nome cristallino, bello, condiviso per la corsa al Quirinale. Quello di Stefano Rodotà. Che poteva rappresentare il simbolo plastico del cambiamento auspicato da tutti gli italiani, un uomo di elevatissimo livello, che sta a Marini come un Altiero Spinelli sta a Nonno Libero.

Invece no. Dicono Marini. Votato da Bersani e Berlusconi, e giù giù a seguire.

Tutti gli sforzi fatti, tutti gli insulti presi, per difendere la “buona politica”, che non è solo casta, che non è solo inciucio, che è anche voglia di avere un progetto, di cambiare le cose, affianco, insieme; sono ora umiliati, buttati nel cesso.

Come convincere, da oggi in poi, gli italiani, che Grillo non aveva ragione, era solo protesta senza soluzioni? Come far ri-innamorare della politica il popolo della sinistra e del centro-sinistra? Non ne ho idea.

Verrebbe da dire una cosa soltanto, parafrasando proprio Grillo. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi, questa volta, forse ci arrendiamo davvero.

Written by federicomello

April 17, 2013 at 6:25 pm

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Il terribile dilemma della Lombardi

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So’ problemi, mica le cazzatine tipo la crisi economica.

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Written by federicomello

April 13, 2013 at 11:53 am

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Le quirinarie di Grillo e la bufala dell’attacco hacker

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Oggi Beppe Grillo ne ha fatta un’altra delle sue. La mistificazione, ormai, è la sua cifra: non riesce a dire la verità e, confidando sull’ignoranza generale riguardante la rete e l’informatica, si crea sempre una realtà a suo uso e consumo. Vediamo perché.

Giovedì erano partite le elezioni interne per la designazione di un nome da proporre come Presidente della Repubblica: gli iscritti (nessuno sa quanti sono) dovevano proporre online dei nomi che poi, selezionati in una rosa tra i più votati, saranno messi al voto sul blog di Grillo.

Ma oggi tutte le operazioni sono state annullate: Grillo ha spiegato che «Le votazioni per il Presidente della Repubblica di ieri sono state oggetto di attacco di hacker». A rinforzare questa ipotesi è anche intervenuto uno degli spin-doctor del Movimento, Claudio Messora, che a SkyTg24 ha dichiarato: «Peggio sarebbe stato se qualcuno avesse provato a manomettere e falsificare i voti e nessuno se ne fosse accorto».

Ma è proprio così? Qualcuno è volutamente entrato nel sistema della Casaleggio per boicottare questa prova di democrazia? Se fosse, sarebbe molto grave. Chi l’avrebbe fatto, per conto di chi? E non dovrebbero essere preoccupati, Grillo e i suoi, per questo boicottaggio? È come se il Pd avesse annullato le sue primarie dopo il furto di un gran numero di schede.

Ma la verità in questo caso è un’altra: non c’è stata alcuna intrusione esterna. Lo spiega bene il comunicato della Dnv, l’azienda specializzata che ha “certificato” le operazioni di voto. Dice infatti: «A seguito di uno dei controlli pianificati, relativo all’integrita del sistema, è stata rilevata un’anomalia, i cui effetti sono stati verbalizzati. L’anomalia ha compromesso in modo significativo la corrispondenza tra i voti registrati e l’espressione di voto del votante». Significa che sono stati registrati più votanti degli aventi diritto. Sempre la Bnv specifica inoltre: «Trattandosi di un controllo periodico non è stato possibile determinare con certezza il momento iniziale della compromissione».

Di hacker, non si fa alcun cenno. E non potrebbe essere altrimenti: la Bnv è una azienda di certificazione, non di sicurezza informatica. Nel suo “chi siamo”, spiega: «DNV Business Assurance Italia svolge, da parecchi anni, un’intensa e competente attività nel settore delle verifiche, ispezioni e certificazioni di sistemi di gestione, prodotti in campo industriale e nei settori dei servizi». Insomma, rispetto a procedure concordate, l’azienda verifica che vengano svolte in modo corretto. E non è un caso che abbia fatto dei “controlli periodici”: non ha le competenze informatiche per “difendere” un server, e non ha sistemi di monitoraggio, nè di tracking, di tracciamento, per risalire a possibili incursioni.

Dove è venuta fuori allora la storia degli hacker? Dalle parole di Grillo. E, indirettamente, da quelle di Messora. Perché? Bhè, la risposta non la sapremo mai. Ma l’ipotesi più probabile è che alcuni utenti abilitati al voto abbiamo potuto votare più volte per una difetto nel sistema costruito dalla Casaleggio. E, invece di ammettere l’errore, (un pessimo viatico per chi che nel suo statuto intende dare “al popolo della rete” la titolarità del governo), quando le cose non hanno funzionato, ecco subito gridare allo scandalo, all’attacco informatico.

Ma è un comportamento serio questo? È serio che il secondo partito italiano abbia una gestione così pasticciata e mistificatoria di un passaggio fondamentale della vita della repubblica come l’elezione del capo dello stato? Ed è possibile che di fronte a suoi errori (o suoi interessi, la manipolazione sarebbe potuta avvenire a monte, non lo sapremo mai), soffi sul fuoco accusando entità non meglio definite di “sabotaggio”?

Non c’è da stupirsi: negli anni Grillo e Casaleggio ci hanno abituato a questo e a molto altro. Mistificare, però, alla lunga stanca. E continuando a gridare “al lupo al lupo” si perde in fretta ogni credibilità.

Written by federicomello

April 12, 2013 at 4:48 pm

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Sulmuro #1 – Cio che si fa per amore…

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Ho sempre avuto una grande passione per le scritte sui muri. Le fotografo da anni. Mi sono sempre detto: quando ti apri un blog ci devi fare una sezione. Ed eccola qua: il nome lo so da tempo: Sul Muro. Comincio con questa. Foto scattata su un muro di San Lorenzo, a Roma, esattamente alle 2 del mattino del primo gennaio del 2013.

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ps: chi ha foto di scritte sui muri da segnalarmi, me le mandi a federicomello CHIOCCIOLA gmail.com, non mancherà citazione

Written by federicomello

April 11, 2013 at 5:58 pm

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Ma in Egitto i comici finiscono in carcere

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«Possiamo dire che in Italia è in corso una rivoluzione come in Egitto, forse più grande di quella?». «Assolutamente sì, perché in Egitto forse rimpiangono Mubarak?». Questa la risposta data da Beppe Grillo in un’intervista a Metro.

A Beppe, sempre bravo nei suoi proclami, andrebbe però ricordato come è andata a finire la “Primavera araba” in Egitto. Gli interesserebbe sapere, magari, che la nuova Costituzione egiziana, promulgata (dopo un referendum molto contestato) nel dicembre del 2012 dal presidente Morsi, legato ai Fratelli Mussulmani ed eletto dal nuovo Egito post-Mubarack, ha ricevuto innumerevoli critiche da parte di associazioni per i diritti umani in quanto, per esempio, non riconosce la supremazia del diritto internazionale in tema di diritti umani.

Al tempo stesso, la Costituzione approvata dopo le proteste della primavera araba, considera come principi cardine della giurisprudenza i fondamenti della Sharia, e non solo: nel nuovo testo costituzionale è “saltato” il riferimento ai diritti delle donne: la dicitura «la donna è in uno stato di parità con gli uomini nel campo della vita politica, sociale, culturale ed economica», già contenuto nella Costituzione del 1971, è bellamente scomparso.

Non solo. Mentre negli ultimi mesi sono tornati a protestare in piazza contro Morsi gli stessi movimenti che avevano costretto Mubarack alle dimissioni, e mentre continuano gli scontri tra cristiani e mussulmani, anche i comici finiscono in prigione. Il comico Bassem Youssef (nella foto), si era fatto conoscere su YouTube proprio durante la “primavera” prendendosi gioco dei racconti “di regime” che faceva la televisione di stato delle proteste in corso.  È poi arrivato in tv riuscendo a raccogliere fino a 5milioni di spettatori. Alla vigilia di Pasqua, però, è scattato l’arresto. L’accusa è quella di aver «insultato» l’Islam e il presidente Mohamed Morsi». E uscito a breve dietro cauzione. L’arresto è arrivato dopo quattro denuncie ricevute dai sostenitori del presidente che lo accusano di farsi beffe dello stesso Morsi, dei Fratelli musulmani e dei salafiti.

E non è andata meglio ad un’altro comico: Ali Kandil, un attore teatrale, è accusato di “blasfemia” per aver “insultato” i musulmani in una sua performance. Fermato e interrogato, è stato liberato una settimana fa dopo aver pagato una cauzione di 570 euro. Kandil, davanti ai giudici, ha respinto le accuse e rivendicato quanto detto nel corso dello spettacolo. Un uomo coraggioso, che dice pane al pane e vino al vino. E che magari avrebbe da insegnare un po’ di politica ad altri comici che bazzicano dalle nostre parti.

Written by federicomello

April 10, 2013 at 1:49 pm

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Il senso di Grillo per il golpe

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Quanto gli piace a Grillo parlare di golpe, colpo di stato, colpetto di Stato. Oggi è il giorno dei “golpisti” dei partiti che non sono d’accordo a dare il via libera alle Commissioni Parlamentari senza prima che ci sia un governo. Ma in questi anni, sul suo blog, i “colpi di stato” denunciati da Grillo e Casaleggio sono stati tantissimi. Ne abbiamo fatto una carrellata, senza alcuna possibilità di essere esaustivi.

Il 9 gennaio 2007, con Prodi al governo, il “golpe” è quella della legge elettorale: «Questo governo è stato eletto per cancellare questa porcata. Non per discuterla con gli allevatori di porci. C’è stato un golpe. Tutti lo sanno. Nessuno dei partiti lo ha subito. Solo gli italiani» scrive Grillo.

Ma c’è stato un altro colpo di stato, anche il sei marzo 2010. «Da questa notte l’Italia non è più, ufficialmente, una democrazia. Napolitano ha firmato il decreto della legge interpretativa del Governo che rende alcuni italiani più uguali degli altri. Le leggi d’ora in poi saranno interpretate, ogni volta che converrà a loro, da questi golpisti da barzelletta e, alla bisogna, interverrà un presidente della Repubblica che dovrebbe essere messo sotto impeachment per alto tradimento». A dire la verità, di quale misura parla, non ce ne ricordiamo più. Un po’ soft come colpo di stato.

Non mancano le varie declinazioni; su beppegrillo.it, il 28 giugno del 2011 è il “terzo polo, mandante il Pd” a tentare «un golpe sull’acqua per vanificare l’esito del referendum».

E ci sono gli inviti diretto al “colpo di stato”. In due occasioni: il 16 giugno 2009 quando invita le forze dell’ordine: «Fatelo voi, mentre il nano è fuori. Un piccolo golpetto, un golpettino. Un golpettino di quelli morbidi, senza feriti, senza morti. Senza niente. Cento persone». E poi nel post cult-eversivo del novembre 2012, “Soldato blu” quando rivolto ai poliziotti li esorta: «Non ti ho mai visto colpire un politico corrotto, un mafioso, un colluso con la stessa violenza. Ti ho visto invece scortare al supermercato una senatrice o sfrecciare in moto affiancato ad auto blu nel traffico, a protezione di condannati in giacca e cravatta, di cosiddetti onorevoli».

Presto i golpisti diventano altri. Soprattutto Monti e i tecnici.

Prima il 15 novembre 2011 con “Il colpo di spread” che “ha sostituito il vecchio colpo di Stato”.

Quindi, di lì a breve, il 19 novembre 2011, appena insediato Monti, ecco “tecniche di colpo di stato“. «Ora i tecnici sono al potere. Monti potrà essere un onest’uomo, ma il suo governo è un colpo di Stato, l’ultimo dei tanti in questo Paese narcotizzato. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure».

Si avvicinano le elezioni. E, volta per volta, il colpo di stato si individua chiaramente sia in chi vuole cambiare la legge Calderoli, sia nella legge stessa.

Il 9 novembre 2012 altro colpo di Stato questa volta contro le modifiche al Porcellum: «Ora, di fronte al colpo di Stato del cambiamento della legge elettorale in corsa e al tetto del 42,5% per il premio di maggioranza per impedire a tavolino la possibile vittoria del M5S e replicare il Monti bis, la UE tace».

Ma il 29 novembre del 2012, sfumata la possibilità di cambiare la legge “porcata” cambia tutto: è “Colpo di stato all’italiana” per mano della “legge porcata di Calderoli”, della “nomina di Rigor Monti” e “dell’election day”.

Finito? Non ancora. Il 30 dicembre 2012 Grillo dà voce a un esodato secondo il quale la sua situazione è causata da “un colpo di stato di Confindustria”: «è stata Confindustria a fare questo golpe, non c’è niente da fare, che poi anche quella mezza sinistra l’abbia sostenuto per rimanere sul carro è un’altra cosa»

E arriviamo ad oggi dove «Il golpe è iniziato da anni. Un golpe alla luce del sole per delegittimare e svuotare il Parlamento».

Insomma, in Italia ci sono più colpi di stato che governi. Se volessimo fare una citazione suggeriremmo al “comico” che “le parole sono importanti” e forse sarebbe meglio usarle con più cura. Ma così daremmo spazio ad un chiaro “intellettuale radical-chic del PdlmenoL”. Della Ka$$ta insomma. Meglio un bel colpo di stato: uno più uno meno…

Written by federicomello

April 9, 2013 at 6:11 pm

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